giovedì 6 marzo 2014


CON LE MANI 

Sabato 22 marzo - via Campi 64 a Merate (LC) 




Dalle 19.00 Aperitivo con visione di filmati delle attività di Mehala 
Dalle 19.30 cena TOC: una delle più antiche tradizioni culinarie di Bellagio. 

Il nome deriva dalla modalità in cui si mangia la pietanza: toccandola con le mani, modellandola e portandola alla bocca. Per questo motivo il toc deve essere caldo, ma non scottare, ben condito ma non deve ungere le mani: se si sbaglia un passaggio, il toc rilascia il burro e non è più mangiabile. Non è una preparazione semplice, solo a un esperto come Angelo ci riesce. 
Terminata la consumazione e svuotato il paiolo, si procede alla preparazione del ragell: l'ingrediente base è il vino rosso a cui si aggiunge, cannella, chiodi di garofano, noce moscata, zucchero, della scorza d'arancia e di limone grattugiata ed una mela tagliata a pezzi. 
È curioso il fatto che il paiolo non venga pulito perfettamente e che si lascino sulle pareti gli avanzi del toc, i quali daranno il sapore caratteristico alla bevanda. Il maestro del toc rimette dunque il paiolo sul fuoco col vino e le spezie ed a questo punto, grazie al calore, l'alcool contenuto nel vino evapora e si incendia, creando uno scenografico effetto di paiolo in fiamme. 
Esauriti i vapori alcolici, il ragell è pronto per la consumazione. 

Intrattenimento musicale a cura dei Bastiancuntrari che cantano Davide Van De Sfroos 


CENA CON RACCOLTA FONDI a numero limitato di posti disponibili. Affrettatevi ad aderire!

Per prenotazione: info@mehala.org – 039/510737 

giovedì 13 febbraio 2014

Scuola e adozione: il tira e molla


Il 4 febbraio il Ministero dell'istruzione ha emanato una circolare che consente (o avrebbe consentito?)  la deroga dell'obbligo scolastico per i bambini adottati che fossero in particolari condizioni, certificate dai servizi e dall'ente che li segue nel post adozione.
In sostanza avrebbe permesso ai bambini appena entrati in famiglia, pur in età scolare, di rimanere per un anno in più alla materna.

La circolare era parsa una bellissima notizia, giunta in un periodo difficile delle Adozioni internazionali. Era parso un importante riconoscimento sulla specificità del bambino adottivo e dei suoi bisogni. 

A una settimana dall'emanazione della circolare, il MIUR l'ha ritirata con motivazioni molto discutibili.... 
Ora, il CARE ha un appuntamento domani (14 febbraio) al MIUR per vedere di far tornare il ministero sui suoi passi.
Mehala firma la nota congiunta a nome di tutti gli enti in cui si evidenzia l'importanza di questa circolare per tutte le famiglie e i bambini adottati e in cui si auspica che il MIUR riveda le sue decisioni e confermi la circolare.

Ecco alcuni link utili:

Mi prendo cura del Malawi


Riceviamo e condividiamo la mail di Marina Zanotti, infermiera amica di Mehala, impegnata a dar sollievo ai malati in Malawi. Per Marina raccogliamo farmaci, garze e bende. Ne servono ancora. Forza Marina!

"Ciao! Ho ricevuto oggi il pacco postale: come sempre avete fatto un grandissimo lavoro! Grazie! Credo che per un pò riuscirò a risparmiare i soldi che ero solita spendere per medicine e materiale sanitario per l'acquisto di un pick up senza il quale diventerebbe impossibile qualsiasi tipo di servizio ai malati nei villaggi. Questo miracolo di solidarietà mi riempie di energia e buon umore, ingredienti indispensabili per l'assistenza a questo tipo di malati... Zikomo kwambiri! Marina"

mercoledì 4 settembre 2013

SABATO 14 SETTEMBRE - 
CENTRO SPORTIVO DI PADERNO D'ADDA



E' giunta alla sua ottava edizione la Cena Indiana intitolata 
"Assaggio in India". 

Verranno proposti tre differenti menù, quello vegetariano, il menù di carne e il menù bimbi. 

Dalle 19.30 in avanti, sarà possibile gustare la vera cucina indiana. 
E' gradita la prenotazione. 

L'offerta minima attesa per la cena, bevande escluse, è 15 €. La raccolta fondi concorrerà al finanziamento dei progetti di cooperazione internazionale promossi da Mehala.

Per informazioni aggiuntive e prenotazioni: info@mehala.org oppure 039.510737

giovedì 30 maggio 2013

Racconto di una figlia adottiva
di Eun Yung

Ci sono vari aspetti da considerare nell'essere adottati e provenire da un altro paese. Quello che nel quotidiano mi pesa di più è di appartenere ad un 'etnia diversa. Avere lineamenti diversi in qualsiasi modo ti discrimina.
Fin da bambina le mie caratteristiche somatiche sono state oggetto di scherno e, crescendo, le cose non sono migliorate.
Essere diversi vuole dire essere squadrati ovunque tu vada, essere guardati con diffidenza dai commercianti che temono che lo straniero sia per forza ladro, fermata per strada da ragazzi che ti scherniscono, sentirsi dire che sei venuto in Italia per arricchirti.
Rispetto all'adozione, non ho mai avuto problemi. Fin da piccola, ho sempre saputo di essere stata adottata e non per questo ho sentito meno l'amore dei miei genitori. E' crescendo che le domande iniziano a farsi strada... I tuoi genitori non possono raccontarti della tua nascita, né puoi cercare rassomiglianze con i parenti. La nascita solitamente in Italia viene accolta con gioia e festeggiamenti, la tua forse è stata vissuta come un lutto. Non sai niente
dei primi mesi o anni di vita, è come se ti mancassero per sempre certi tasselli.
Comunque non mi sento una figlia o una sorella diversa,, anche se dentro di me c'è sempre una domanda lacerante a cui purtroppo non avrò mai risposta: chi erano i miei genitori? Perchè hanno deciso di abbandonarmi? Sapere questo alleggerirebbe l'angoscia di alcuni (rari) momenti.

venerdì 24 maggio 2013


                       LA “VERA MAMMA”

Come nasce un bambino? Può nascere per caso, per sbaglio. E allora, nella nostra società, tante volte decidi di tenerlo, lo sopporti, forse scopri che è bello diventare mamma.
Altre volte un bambino lo cerchi, lo desideri, lo senti crescere dentro il tuo cuore o dentro la tua pancia. Ti senti subito mamma, ancora prima che ti compaia davanti,con tutta la sua infanzia da percorrere. Negli occhi lo stesso sguardo interrogativo. "Ma tu chi sei?"

"Sono la tua vera mamma, quella che crescerà insieme a te, quella che ti aiuterà a diventare grande, o forse ti farà tornare piccolo, per poi essere davvero grande, quella che  ti restituirà tutti i baci che in tanti mesi o in tanti anni non hai potuto avere, quella che ti accompagnerà a scuola, che si sentirà dire "suo figlio può fare di più" oppure "beh, visto il suo passato, poverino", e comunque si sentirà in colpa lei, perchè la colpa è sempre delle mamme.
Magari un giorno tu le dirai che poteva lasciarti dov'eri, che poteva fare a meno di metterti al mondo. Sì, perchè è difficile crescere, magari portare gli occhiali, o avere la pelle scura, e i compagni di scuola ti prendono in giro. Ma la mamma c'è sempre, ti difende, le viene da piangere, si chiede dove ha sbagliato, ma ha una certezza, quella di essere la tua "vera mamma".

Elena Pozzi

lunedì 20 maggio 2013


MARIO S’E’ FERITO MA NON A UNA GAMBA

Non amo il calcio e non sono mai stato di quelli che venivano scelti per primi, nel far le squadre, sugli improvvisati  e polverosi campetti di calcio che ho frequentato durante il periodo delle scuole elementari. Mio figlio, ovviamente,  è una  sorta di invasato. Letteralmente stregato da questo gioco. Non so quanto portato, non ho le competenze ne la voglia per esprimere una valutazione. Dal mattino si parte con la scelta della palla adatta, dell’abbigliamento più adeguato alle fantasticate sfide. Mi ha confidato un sogno: vedere il suo piede crescere fino al numero 28 così da poter acquistare le scarpe di “cancio”. Marca Decathlon. Le migliori, gli dico sempre.
Mio figlio ha un idolo. Si chiama Mario Balotelli, è tutto marrone ed è un campione vero.
 Ho ancora qualche resistenza nel monopolizzare le serate davanti a una partita di calcio, e ancora di più nel proporgli di andare allo stadio. Ma alle sue insistenze cedo mostrando dei video di Mario Balotelli su YouTube.
Confesso. Mario Balotelli ha stregato anche me. In ogni suo gesto, atteggiamento, o modo di porsi c’è la sua rivincita, accecata e irrazionale, che solo chi è stato scottato nell’affetto potrà capire.
Mario è stato posto in affidamento presso una famiglia della provincia di Brescia quando aveva meno di due anni. La prima ferita di Mario.
A Brescia Mario è cresciuto in una famiglia che lo ha fatto sentire figlio, ma per l’anagrafe e per il Tribunale Mario era ancora cittadino straniero. La seconda ferita di Mario.
Mario a calcio gioca bene e se ne accorgono presto. Inizia giovanissimo e i successi non mancano tanto da poter pensare di giocare nella Nazionale. A Mario viene proposto di giocare nella nazionale Ghanese ma in quella Italiana nemmeno per sogno. Mario ha origini Ghanesi, ma in Ghana non c’è mai stato.  La terza ferita di Mario.
L’affidamento di Mario si trascina per sedici lunghi anni, finalmente giunge alla maggiore età. Ed è a lui, da un giorno all’altro diventato uomo, che si chiede come si vuol chiamare di cognome. Di chi vuole diventare ufficialmente figlio. La quarta ferita di Mario.
La scelta di Mario è determinata ma non scontata. Molte le situazioni di affidi “sbagliati”, che si ostinano a chiamare sine die, in cui i ragazzi, a diciotto anni, posti di fronte a questa scelta, non sanno più cosa vogliono, a chi appartengono. Il senso di colpa legato a questa scelta, quale che sia, è lacerante.
Mario diventa Mario Balotelli. Il Comune, con cerimonia annessa, concede la cittadinanza italiana, a lui, dopo diciotto anni di permanenza  costante in Italia, con una famiglia che di cognome fa Balotelli! La quinta ferita di Mario.
Se il sogno di ogni bambino senza una famiglia è quello di trovarne una, amorevole e capace, il sogno di ogni calciatore è quello di poter giocare in un grande club. E l’Inter, mi risulta, è uno di questi.
Mario incontra l’Inter.
Sa di essere amato e per questo deve mettere alla prova.
Qualche giorno fa Mario, al termine di una partita importante, si è tolto la maglia della squadra che l’ha voluto e l’ha buttata a terra. In segno di spregio. Lo stesso giorno, un altro diciottenne, al termine di una discussione accesa in casa, ha detto alla madre adottiva “Tu non sei la mia vera mamma”. In segno di spregio. La sesta ferita di Mario.

Marco Porta
  

mercoledì 15 maggio 2013


Di ritorno dall'India

di Elena Pozzi

Da giorni mi sto proponendo di fare una relazione dettagliata del mio viaggio in India, ma ogni volta che mi siedo davanti al computer non riesco a essere lucida, perdo la cognizione del tempo, mi vengono in mente solo flash, emozioni, sensazioni .
Sono stata diverse volte in India, come turista, come operatore, come mamma adottiva, in occasioni istituzionali a rappresentanza di Mehala, ma questa volta è stato diverso, tutto troppo concentrato, tutto troppo intenso, tutto troppo triste.
“Incredible India” è lo slogan dell'Ente per il Turismo Indiano e rende perfettamente l'idea di una realtà piena di contrasti, in continua evoluzione e al tempo stesso arretrata , una realtà dove tecnologia e rituali sciamanici convivono, dove la gente ti sorride ma non capisci mai quello che pensa, dove ricchi e intoccabili si  ignorano a vicenda, dove le donne non contano niente ma se appena hanno un minimo ruolo alzano la cresta, dove gli occhi dei bambini sono così profondi che ti ci perdi dentro.
Riservo ai consiglieri una relazione dettagliata con la denominazione e il luogo degli istituti visitati, riservo ai genitori in attesa  il resoconto dei gesti, dei sorrisi, degli sguardi e delle parole dei loro bambini. In questo momento, senza alcuna pretesa di rispettare la scansione temporale del mio viaggio, ne di fornire dettagli tecnici, riesco solo a lasciarmi trasportare dalle emozioni nella speranza di riuscire a trasmetterle, almeno in parte, a chi mi legge.
Il taxi mi porta nel primo istituto,  mi scarica davanti e si dilegua. Non ho mai capito dove finiscano questi autisti, so solo che si materializzano con puntualità teutonica all'ora stabilita, non li ho mai visti mangiare né dormire. L'accoglienza è come sempre calorosa, sono invitata a pranzo e sogghignando mi forniscono di posate. Rigorosamente scalza  faccio quindi il giro dell'istituto, i bambini sono incuriositi, qualcuno piange, i più grandi sorridono. Sotto lo sguardo benevolo di un'educatrice alcuni bambini si preparano del latte in polvere condito con formiche. I bambini e i ragazzi disabili improvvisano un canto e una danza in mio onore. Sono i bambini senza futuro, quelli che non saranno mai adottati. 
L'addio all'istituto è triste, come sempre, e come sempre il giorno successivo c'è il desiderio di tornare. Ma mi aspetta un'altra realtà, e così via per i nove giorni che seguiranno.
Faccio il pieno di aria condizionata, in aereo e in auto, e questo mi aiuta a sopportare il caldo, ma devo dire che i 47 gradi all'ombra sono l'ultimo mio pensiero. Quando le emozioni sono così forti il fisico non ha più importanza, sei in un bagno di sudore, cammini per forza di inerzia, ma hai fretta di non perdere un solo istante, un solo particolare, un solo sguardo.
Ti offrono un bicchiere d'acqua, che immediatamente ti viene tolto per essere sostituito da acqua minerale, ma va bene tutto, ti dimentichi di ogni precauzione, le priorità sono altre.
E' d'obbligo intrattenersi in ufficio con il responsabile dell'istituto. Il nostro referente aveva preannunciato il mio arrivo e devo dire che l'accoglienza è stata molto cordiale. Un po' più sussiegose le signore, soprattutto se ricoprono un ruolo istituzionale, decisamente più cordiali gli uomini. Io però ho fretta, in primo luogo di incontrare i ”nostri“ bambini, quelli che a breve abbracceranno finalmente la loro mamma e il loro papà, e poi voglio vedere come stanno tutti i bambini, come funzionano gli istituti, come potremmo essere d'aiuto.
Gli istituti sono diversi, come ubicazione, come condizioni e come dimensioni. Vedo bambini davanti al televisore, bambini pigiati in un'aula minuscola dove una maestra arcigna declama ad alta voce, in tono imperioso e allo stesso tempo disperato, gettando secchiate d'acqua sul pavimento per sopravvivere al caldo, bambini che giocano col  lego (pochi!), altri sdraiati per terra che fissano il soffitto, altri che, vicino a un tempietto induista, meditano a occhi chiusi, spiandomi e ridacchiando.
I “nostri” bambini mi vengono presentati vestiti di tutto punto, alcuni con le scarpe, i più grandi sull'attenti come soldatini, i più piccoli, non ancora in grado di recitare una parte, più spontanei e a volte scocciati della nostra intrusione.
Alcuni bambini, mi hanno detto, sarebbero stati adottati a breve negli Stati Uniti o in altri paesi europei. Poi ci sono gli altri bambini, i bambini con bisogni speciali, che richiedono una famiglia speciale E qui è stato un susseguirsi di rabbia, di commozione e anche di vergogna. Il loro stato di salute mi viene presentato nei minimi dettagli, nella speranza che qualche famiglia sia disposta ad accoglierli. Mi sembra di offendere la loro dignità, non voglio sapere, faccio fatica a guardarli negli occhi, ad accarezzare i capelli rasati a zero per motivi di igiene, a osservarli camminare malfermi o prendere a testate le sbarre del lettino.
I  lecca-lecca vanno a ruba, e non diciamo che i bambini sono tutti uguali; proviamo ad andare in una prima media in Italia a offrire lecca-lecca!
Belli i pennarelli, peccato che manca la carta.

Grazie bambini per quello che mi avete dato, mi mancherete! Grazie a tutto il personale degli istituti che, in condizioni per noi inaccettabili, è capace di una carezza e di un sorriso.

10 luglio 2009

martedì 14 maggio 2013


L’INCONTRO CON NOSTRO FIGLIO

Enzo ed Enza hanno adottato il loro figlio Animesh attraverso Mehala. Sono diventati una famiglia nel novembre 2009. Questo è il diario del loro primo incontro.

Questo è il giorno che,  se anche campassi cent’anni, non dimenticherò mai!
L’incontro con nostro figlio è stata la cosa più incredibile che potesse avvenire.
La giornata era cominciata come se nulla fosse. Ho dormito quasi regolarmente, ed il “quasi” è semplicemente per motivi di fuso orario, non ancora del tutto assimilato.
Verso le nove, durante la colazione, non nego di aver provato un po’ di fastidio per il fatto di non essere in uno stato di adrenalina ai massimi livelli, ma al contrario quasi in uno stato di apatia mista a sonnolenza. Le  cose cominciano a cambiare  mano a mano che ci avviciniamo all’istituto. I battiti aumentano e con essi tutti i miei timori.
Sono circa le 10,30 quando ci aprono le poste dell’istituto. L’emozione sale, l’edificio corrisponde a ciò che avevamo visto nel filmato: vecchio ma ben curato.
Veniamo accolti da un’assistente molto cordiale. Ci porta al secondo piano, in una stanza molto grande che viene chiamata “family room”, dove avvengono gli incontri tra i genitori e i propri bambini.
Siamo scalzi. Una giusta forma di rispetto per quel luogo dove tutti sono a piedi nudi.
Dopo circa 10 minuti il referente indiano ci chiama fuori dalla stanza ed in quel momento si ferma il tempo: appare nostro figlio con due mazzolini di fiori, uno per la mamma e uno per me, mi avvicino e mi chiede: “How are you?”. Mi chino, prendo i fiori e lo bacio…Rimango per circa 15 secondi in stato catatonico, ma non piango ed è già un buon segno!
Gli hanno messo, come si suol dire, il vestito della festa: maglietta gialla a maniche lunghe, un paio di pantaloni blu, calzini e scarpe da ginnastica di due numeri più piccole. Infatti ci rendiamo conto che ha una strana camminata, quasi da ubriaco! Più tardi, per fortuna gli fanno togliere le scarpe e gli danno un paio di ciabattine di gomma.
Sorride e ci guarda un po’ intimidito. E’ imbarazzato dai nostri abbracci, non sa come comportarsi…
Prendiamo coraggio e gli chiediamo di farci vedere la sua camera e lui, con piglio sicuro, ci prende e ci guida in una grande stanza dove ci sono quattro lettini. Nel frattempo si avvicinano altri bambini incuriositi da questi due visi pallidi ed Enza viene letteralmente rapita da una ragazza che provvede a decorarle mani e piedi con l’henné. Ci viene spiegato che i piedi vengono decorati alle donne che diventano madri come buon augurio.
Nostro figlio si dimostra subito come un bambino sveglio e furbo e nel suo ambiente è un vero capetto, capace di mettere in riga tutti i suoi amici per la distribuzione delle caramelle che abbiamo portato.
La sua maestra ci fa accomodare nella classe, dove sono seduti tanti bambini, ci mostra il banco di nostro figlio e lo invita ad una dimostrazione delle sue facoltà matematiche. Come un bravo soldatino comincia a contare fino a 100 in inglese e poi recita una filastrocca con tutte le lettere dell’alfabeto…in quel momento abbiamo provato una grande tenerezza, capiamo il lavoro che viene fatto ogni giorno su questi bambini per prepararli all’incontro con i loro futuri genitori.
Dopo il pranzo “speciale” preparato appositamente per noi,  passiamo alla distribuzione dei giocattoli. E’ un vero scompiglio, per mezz’ora regna il caos più completo! Nell’enfasi di voler accaparrarsi qualche gioco o quaderno, mi chiamano addirittura “Mamy”! Pensate, nello stesso giorno sono diventato papà e mamma!
Verso le 15,30 arriva il momento del commiato. E’ il momento peggiore, maestre che piangono, la sua “mamy”che sparisce dalla circolazione per non cedere alle lacrime in pubblico…ci sentiamo dei ladri, e non sappiamo fare altro che ringraziare per tutto quanto hanno fatto in questi anni per il nostro bambino.

Sono circa le 16,15. Ora sono papà per davvero.

venerdì 10 maggio 2013


CREDIAMO CHE NEL NOSTRO CAMMINO DI ADOZIONE CI SIANO STATI TANTI MOMENTI FELICI ED EMOZIONANTI 
QUESTO PER NOI E’ STATO IL PRIMO…E’ STATO QUANDO ABBIAMO SAPUTO CHE, DA QUEL GIORNO, AVRESTE FATTO  PARTE DELLA NOSTRA VITA.

30 LUGLIO 2008

Oggi siamo andati in Associazione. Ci avevano convocati per un aggiornamento
( “ancora un altro” , avevamo pensato; poco tempo prima ci ha chiamato il tribunale per i minori di Milano ) e invece vi abbiamo visto!
Così come se il destino avesse scelto per noi il momento, il luogo e il periodo, VOI (perché siete due, due grandi doni ) siete entrati, in punta dei piedi, nella nostra vita  e nei nostri cuori.
Elena e Lorella ci hanno parlato di voi.
Si sa ben poco , siete due bimbi uno di 8 anni e mezzo e il  fratellino di un anno e 10 mesi. State bene vi chiamate Luv e kush( si scriveranno così ? ) e per voi rajeev, il referente indiano, sta cercando una coppia che vi voglia accogliere ed amare come dei figli.
Ed e’ toccato a noi scegliere, decidere se ci sentivamo pronti a farvi da mamma e papà.
Noi non aspettavamo altro.
In questi mesi abbiamo sempre pensato, con un po’ di rammarico, ad un figlio solo
( perché sapevamo che in India era difficile adottare dei fratelli ).
Ed invece siete arrivati voi ,con i vostri “musi” un po’ perplessi  e l’espressione di chi non capisce cosa gli accade.
Io e vostro padre abbiamo deciso : NOI saremo i vostri genitori, noi e voi saremo una famiglia!
Siete in due , due splendide gemme che risplendono nei nostri cuori e che ci illuminano gli occhi quando vi pensiamo.
Abbiamo deciso di non dire niente a nessuno. Questo è un nostro segreto. La gioia per ora vogliamo assaporarla solo noi,c’è tempo per condividerla .
 In questi giorni sarete solo NOSTRI!

Così vi abbiamo
visti la prima volta e così vi penseremo anche quando adulti avrete altri tratti e un’altra fisionomia, ma per noi resterete i nostri grandi regali ricevuti ,non a Natele, ma in una calda giornata d’estate.


Sabrina e Roberto





venerdì 3 maggio 2013


BAMBINI GRANDI

Quando un bambino si può considerare “grande”? Perché la maggior parte dei genitori adottivi si dice disponibile ad accogliere un bambino entro la famosa “età scolare”? E quelli che questa età l’hanno già superata si possono definire grandi? Come al solito, tutto è relativo; per alcune coppie è già grande un bambino di tre anni, per altre uno di otto può apparire ancora piccolino.
È inevitabile lasciarsi influenzare dall’età anagrafica dei propri bimbi, facendo calcoli e confronti con i coetanei, cercando similitudini e differenze. Nella realtà un bimbo di dodici anni cresciuto in un istituto appare fisicamente molto simile ad un bimbo nato e cresciuto nella propria famiglia di circa sette/otto anni. Il motivo di questo divario può essere attribuito alla trascuratezza nella quale questi bimbi spesso vivono, alla denutrizione, alla poca attività fisica che fanno, ma anche, e soprattutto, alla mancanza di una mamma e di un papà, figure indispensabili per accompagnare il bambino nel complicato compito di crescere e diventare grande.
È stato dimostrato come, nei mesi successivi all’arrivo in famiglia, il bambino  cresca e si sviluppi velocemente. Questa crescita avviene sia a livello mentale, grazie ai numerosi nuovi stimoli ed esperienze che il bambino fa o alla necessità di imparare una nuova lingua, ma anche a livello fisico, come a voler dimostrare che fino a quel momento avesse semplicemente aspettato a crescere e svilupparsi per poterlo fare all’interno della sua famiglia, sostenuto dai suoi genitori.
Spesso si dice che i bimbi che arrivano in famiglia tramite l’adozione sono bambini che hanno più di un’età. Questi bambini hanno infatti, oltre ad un’età anagrafica, spesso nemmeno certa, molte altre età che si sentono o che hanno voglia di avere in quel momento (a volte meno di un anno, quando chiedono a mamma e papà di tenerli in braccio e cullarli come si fa con un neonato, altre volte molti di più, quando vogliono essere indipendenti e rifarsi da soli il letto o pulire la propria camera).
Ma perché allora la maggior parte dei genitori teme che il proprio figlio diventi grande troppo in fretta?
Credo che tutti i genitori nel profondo abbiano desiderato almeno una volta di poter fermare il tempo per far sì che il proprio bimbo rimanga piccolino il più possibile, ma i figli hanno anche bisogno di crescere, e hanno bisogno di genitori che siano pronti a farli crescere, lasciando fare alla natura il suo corso.
Un dato di fatto da considerare è che la realtà dell’adozione internazionale è molto variata negli ultimi anni; vi sono infatti numerosi fattori che determinano un progressivo cambiamento delle caratteristiche dei bambini adottabili.
In particolare, negli ultimi anni, si è registrato un graduale aumento dell’età media dei bambini al
momento dell’adozione, passata da 5,5 anni del 2008 a 6,1 anni nel 2011 (dati CAI). Più precisamente, oltre un terzo dei bambini adottati nel 2011 (36,1%) ha un’età compresa fra 1 e 4 anni, il 45,2% fra 5 e 9 anni, il 13,3% pari o superiore a 10 anni, mentre solo il 5,4% è sotto l’anno.
Questo incremento di età è da attribuirsi principalmente ad un progressivo diffondersi, nei Paesi di origine, della pratica dell’adozione nazionale che, ovviamente, privilegia i minori piccoli e privi di problematiche particolari, destinando all’adozione internazionale coloro che non trovano una famiglia disponibile nel loro Paese.
Ma cosa temono di più i genitori adottivi che sperano di ritardare e rimandare il più possibile la crescita del proprio bimbo? Sicuramente un tema tanto importante quanto impegnativo è il racconto della storia, i ricordi e i racconti legati alle origini: il bambino più è grande, più possiede maggiori capacità per esprimersi e per raccontare ciò che ha vissuto e che ricorda; è infatti maggiormente consapevole di quanto gli è accaduto prima e dopo l’adozione. È indispensabile che i genitori adottivi siano più che pronti e attrezzati nell’accogliere e gestire il bagaglio più voluminoso ed esplicito del proprio figlio.
Altro aspetto importante è la costruzione del legame di attaccamento che i genitori sono stati in grado di creare con i loro figli; questo legame influenzerà infatti le percezioni che il figlio adolescente avrà di sé e le sue relative sicurezze o insicurezze.
Svariate ricerche hanno dimostrato che, seppure l’aumento dell’età all’adozione è spesso correlato ad una maggiore percentuale di attaccamenti insicuri, i figli adottivi presentano percentuali di attaccamento sicuro di gran lunga superiore ai loro pari istituzionalizzati; questo dato ci fa capire come una modifica dello stile di attaccamento sia possibile anche in età più avanzate.
Un ultimo aspetto che risulta essere correlato all’età è quello relativo all’apprendimento, spesso punto di maggior preoccupazione dei genitori poiché correlato al rendimento scolastico.
È inevitabile come il periodo sempre maggiore trascorso dal bambino in istituto o comunque senza i suoi genitori, prima dell’adozione, agisca su un insieme di fattori, fisici e psicologici che, influenzando il funzionamento complessivo del soggetto relativamente ai processi cognitivi e alle competenze neuro-motorie, avrà delle ricadute sull’apprendimento.
Nonostante queste difficoltà, l’adozione di bambini “grandi” è una realtà che si sta imponendo e s’imporrà sempre di più nell’adozione internazionale.
È importante non sottovalutarne la specificità, con la giusta considerazione e conoscenza dei numerosi punti critici, che, se gestiti con tutta la tranquillità e serenità possibile, permetterà anche ai bambini più grandicelli di poter trovare i propri genitori dall’altra parte del mondo.

Forse, dopotutto, non esistono bambini grandi ma solo bambini con età diverse.

Benedetta Panzeri

mercoledì 24 aprile 2013


L’altalena delle emozioni – di Patrizia Giorgetti

India, 7 febbraio

Anni di attesa, mesi di rinvii, giorni in altalena tra speranze, delusioni, fiducia e timori, ora eccomi seduta con Enrico, mano nella  mano, sul sedile dell’auto che ci sta portando da te.
Fuori scorrono le affollate strade indiane, dentro al mio cuore passa uno tsunami di sentimenti.
Questa notte non riuscivo a dormire, ”saprò essere madre? Saprò essere la tua mamma?”, un grande senso di responsabilità si è seduto sulle mia spalle e con lui  la paura di non essere capace, di non essere all’altezza di questo grande compito che è accoglierti con tutto l’amore che meriti…poi mi dico che essere madri è sì una cosa che s’impara con l’esperienza ma è anche un istinto ancestrale, animale, che suggerisce le risposte giuste se lo si ascolta ed è dentro la mia pancia come dentro le pance di tutte le madri che mi hanno preceduto e si farà sentire al momento opportuno, ne ho la certezza.

Ti vediamo arrivare per mano ad una delle tue signorine, tutta vestita di rosso, rosse le scarpe, rosse persino le mollettine con cui tieni i capelli, lucidi e neri,tirati, alla moda indiana.

Ci chiami in inglese mamma e papà e da questo preciso istante sento che  nessuno di noi tre sarà mai più solo.

Prendi subito il papà per mano, scegli lui,me l’avevano spiegato che a volte può essere così, uno dei due viene preferito all’altro all’inizio e con questa consapevolezza scaccio la piccola fitta di gelosia che  mi si era incuneata  dentro al petto.

Mi lascio sommergere dall’emozione,il cuore sembra un treno ad alta velocità, mentre osservo i tuoi piccoli piedi nudi ed i tuoi passi che ci accompagnano a visitare il Bhasundara: la tua cameretta che ci mostri orgogliosa,i tuoi amici,Lily, la tua housemother che sta già cominciando a piangere la tua prossima partenza, Gori Didi il tuo sostegno ed affetto maggiore, la classe con i banchi di legno dove tu, che oggi sei protagonista, ci canti una canzone:poi il pranzo insieme, i regali e cominciano i saluti.

Ed viene l’ora dell’addio all’orfanotrofio, ho l’immagine stampata qui e ce l’avrò per sempre, ti siedi recalcitrante sul sedile posteriore dell’auto e piangendo come una fontana con grossi singhiozzi sonori, continui fino all’ultimo istante a restare voltata e con le braccia protese verso quello che da adesso sarà il tuo passato, proiettata verso un futuro certamente desiderato ma ignoto.

Italia, 10 mesi dopo

Dieci mesi ormai passati,tu sempre più bella, la  tua statura  è cresciuta ed anche i capelli, ora ricci naturali alla moda italiana.

 Parli italiano in modo fluente - straordinario dopo così breve tempo- ti sei lamentata non poco che “l’italiano è difficile” e ti abbiamo sempre dato ragione sostenendoti ed aiutandoti negli innumerevoli cambiamenti che hai dovuto e continui a sostenere.

Certo non sempre è stato facile, tu hai già il tuo carattere ben definito, noi anche ed a volte non ci siamo proprio capiti e gli scontri sono stati inevitabili, le differenze linguistiche e culturali  non aiutano nella comprensione delle sfumature ma alla fine riusciamo sempre a capirci ed a parlarci ristabilendo l’equilibrio naturale che sentiamo sotteso alla nostra famiglia, torna il meraviglioso sorriso che ti sgorga dal cuore.

Certo sappiamo che ti manca tanto l’India mentre scorre la tua vita, quella che dovrebbe essere la vita normale per qualsiasi bambino, tra scuola, nuove amicizie, sports e così via; sappiamo che senti nostalgia delle tue canzoni, dei tuoi amici, della tua gente, della tua lingua, di tutto dei tuoi luoghi e siamo felici che tu mantenga tramite skype un contatto quasi quotidiano con la terra dove hai aperto gli occhi per la prima volta; sappiamo che in te ci saranno sempre due cuori e ti siamo accanto.

Qualche giorno fa ci hai scritto una lettera che ci ha fatto piangere, dicendoci: “grazie  a voi che mi avete portato in Italia e che  ora posso chiamare mamma e papà, per 12 anni non avevo mai potuto pronunciare queste parole e neanche nonno, nonna, zio, zia, cugine” ma siamo noi a dirti grazie per averci resi genitori aiutandoci ad allargare i nostri orizzonti di cuore, di anima, di cultura, di accoglienza, di consapevolezza, di amore.

E te lo ripetiamo più forte:”Grazie Barsa”.

Mamma Patrizia

lunedì 22 aprile 2013


Diario di viaggio – di Marco Di Egidio


3/11. Stasera ci presentiamo in aeroporto a Malpensa. Dopo oltre 3 anni farciti di corsi, colloqui, uffici pubblici, fotocopie autenticate ed apostille, possiamo finalmente incontrare le nostre figlie.
Abbiamo fino a 30kg di bagaglio ciascuno; un trolley per trasportare i bagagli ci costa “solo” 2 Euro. Fa niente.
Il check-in elettronico da casa è stato inutile: i posti erano stati preventivamente assegnati dalla compagnia aerea, ma va bene così. Alle 21.20 si decolla direzione Dubai dove si farà scalo la mattina successiva. Volo perfetto, il cibo a bordo comincia ad essere esotico.

4/11. Sbarchiamo all’alba, girovaghiamo per l’infinito ed esagerato duty free dell’aerostazione di Dubai fino a mezzogiorno. Alle 13.00 locali circa imbarco e decollo per Calcutta dove atterriamo dopo le 19.00. Volo ok, il cibo a bordo sempre più speziato…
La struttura dell’aeroporto di Calcutta e specialmente i bagni non sono certo quelli di Dubai.  Comunque nessun problema particolare al controllo passaporti. Le valigie arrivano rapidamente sul nastro e poi qui l’uso del trolley è gratuito….
All’uscita incontriamo il referente, Rajeev. Dopo i convenevoli ed una breve attesa ci raggiungono gli autisti che caricano su due auto i nostri bagagli. Ci dividiamo a coppie e saliamo sulle auto. Le auto sfrecciano direzione città. Attraversiamo la periferia. Ci accorgiamo subito che la circolazione del traffico è “regolata” dallo strombazzare continuo dei veicoli, i sorpassi avvengono indifferentemente a sinistra ed a destra, animali liberi, tuk tuk e velocipedi permettendo.
Giunti in albergo, si decide di saltare la cena. La camera è piuttosto confortevole ma l’acqua è freddina ed il climatizzatore rumoroso. Resteremo soltanto una notte quindi apriamo pochi bagagli e ed individuiamo i documenti per il consolato italiano. Finalmente si dorme.

5/11. Ci ritroviamo a colazione con Rajeev. Da questo momento cerchiamo di non correre rischi per l’intestino quindi attenzione ai cibi crudi ed alle bevande sfuse. Il referente ci chiede in anticipo alcuni documenti da presentare al consolato italiano per ottenere il visto d’ingresso delle ns. bambine: soltanto le fotocopie dei ns. passaporti, il resto l’ha portato lui. Eppure noi abbiamo in valigia un altro mezzo chilo di carta stampata per questa occorrenza!…
Alle 9.30 si parte direzione consolato. Attraversiamo numerosi isolati e ci rendiamo ancora più conto della vita e del folle traffico di questa città. Alle 10.00 ci riceve il console. Rajeev consegna i documenti ed i passaporti delle bimbe, il console si impegna a darci i passaporti con visto delle bambine alle 15.30. Quindi risaliamo in macchina e dopo alcuni chilometri ci fermiamo davanti al monumento alla regina Vittoria. Foto di rito poi si riparte. Ci rechiamo in un caffè del centro. Ci rendiamo conto che a Calcutta l’attraversamento a piedi di un viale è ardua impresa nonostante il semaforo. Tra un sorso e l’altro iniziamo a fare domande a Rajeev. Per esempio, sarà possibile che ogni coppia viva l’emozione di incontrare la propria figlia privatamente anziché tutti insieme nella stessa stanza? Non c’è problema, telefonerà per prenotare due stanze separate all’interno dell’istituto.
Rientrati in hotel pranziamo tutti nella camera di Rajeev, poi raccogliamo i bagagli e lasciamo definitivamente l’albergo. Alle 15.30 in punto siamo al consolato, riceviamo i passaporti con visto delle ns. bambine e gli auguri del console (che suo malgrado dovrà restare altri due anni a Calcutta).
Saliamo in auto e partiamo direzione aeroporto. Nel tragitto la prima significativa emozione: osserviamo per la prima volta i passaporti delle bimbe e troviamo nell’ultima pagina i nomi dei genitori, ovvero i nostri.
Giunti in aeroporto, ci rechiamo prima allo screening delle valigie poi al check-in. Rajeev accompagna uno di noi a pagare una sovrattassa totale di 4000 Rupie poiché il peso del bagaglio a persona eccede 20kg. Pazienza, per i voli interni ce lo aspettavamo.
Decolliamo e dopo poco più di un’ora atterriamo a Bubhaneswar (Orissa). I bagagli arrivano presto sul nastro e anche qui l’uso del trolley è gratuito.
E già buio, fuori dall’aeroporto ci attendono due autisti. Caricano a fatica i bagagli sulle loro piccole utilitarie ed in pochi minuti ci portano in hotel. La procedura di check-in è stranamente lunga. Le stanze sono essenziali, il climatizzatore zoppica ma il suo flusso aggredisce gola e cervicale. Poiché fuori è umido, meglio non spegnere quindi deviamo il flusso con lo schienale di una sedia. Alle 21.00 cena a buffet tutti insieme. Alle 22.00 si va a dormire, chi riesce…

6/11. Sveglia alle 7.00, colazione alle 8.00, torniamo in stanza e ci prepariamo definitivamente per l’incontro della vita. Ci infiliamo l’abito per l’occasione, ci sistemiamo al meglio poi alle 9.30 appuntamento con gli autisti che caricano in auto le borse cariche dei doni per le nostre bimbe e per l’istituto. Si parte direzione Cuttack.
Dopo 10 minuti ci fermiamo in una frazione per ricaricare le sim telefoniche prestateci da Mehala. Veniamo subito avvicinati da mendicanti. Ripartiamo. Giunti a Cuttack, costeggiamo la valle del fiume per un lunghissimo tratto poi all’improvviso gli autisti svoltano a sinistra in un viottolo dove incontriamo un uomo vestito di stracci e capre che brucano tra i rifiuti. Ecco, dopo poche decine di metri siamo di fronte ad una struttura che intuiamo sia l’istituto delle ns. bimbe. Viene aperto il cancello e gli autisti entrano con le auto.
Scendiamo e subito ci rendiamo conto di essere osservati. Qualche bambino ci saluta con la mano. Rajeev ci accompagna fino al porticato e ci presenta il manager ed alcune collaboratrici. Saliamo al piano superiore. Rajeev ci divide in coppie e ci fa entrare in due diverse stanze chiamate guest rooms. Ci indica il bagno, se dovessimo averne bisogno. Scopriremo più tardi che le stanze sono distanti tra loro parecchi metri. La tensione sale. Passano circa 5 minuti di attesa, osserviamo noi stessi, stanza e cortile, cortile e stanza…
All’improvviso due signore accompagnano la nostra bambina verso di noi. Ha un mazzolino di fiori in mano che consegna alla mamma. Ecco da questo momento le emozioni saranno davvero intense ma occorre precisare che le bimbe si comportano in modo diverso:
Silly è sorridente ed impaziente, abbraccia e prende subito confidenza con mamma e papà. Riceve molti regali, si gioca subito.
Manisha è impaurita seppure incoraggiata dalle sue accompagnatrici. Si avvicina ai nuovi genitori ma è irrigidita. Non parla. Mamma e papà gli donano una macchina fotografica che potrà usare per immortalare gli amici e gli istanti dell’incontro. Silly possiede già una macchina fotografica.
Nella stanza di Silly entra Santhi, la sua tata (in istituto si chiama housemother) accompagnata da Subra, detta anche “Grande Sorella”: è emozionata, fa capire che desidera notizie di altri suoi bimbi partiti per l’Italia alcune settimane prima. Non si riesce a spiegare che stanno bene.
Dopo pochi istanti Santhi e Subra si presenta disperata nella stanza dell’incontro di Manisha: qui viene rassicurata ma l’emozione nell’aria supera il limite e Manisha si mette a piangere a dirotto. Forse è meglio così.
Dopo alcuni minuti Manisha prende coraggio ed inizia a scattare fotografie a mamma e papà, finalmente lascia conoscere la sua voce e sorridendo trascina i nuovi genitori in giro per l’istituto. La famiglia di Manisha si ritrova nella guest room di Silly. Si festeggia con giochi e palloncini.
Veniamo tutti invitati una prima volta nella classe unica dove incontriamo gli amichetti scolari (di tutte le età) e l’insegnante Namita. Poi Rajeev ci accompagna tutti nell’ufficio della direttrice. Sono presenti anche il manager ed alcuni stretti collaboratori. Ci presentiamo, le solite battute sul clima in Europa ed in India poi la direttrice ci informa che siamo invitati a pranzo all’interno dell’istituto. A questo punto Rajeev ci invita a mostrare i doni che abbiamo portato per l’istituto. La situazione inizia ad essere imbarazzante: apriamo una grossa valigia ed una borsa zeppe di indumenti per bambini e giocattoli donati dall’associazione Mehala all’istituto. Rajeev mostra il contenuto al personale e lo appoggia delicatamente sul pavimento. Le bimbe si avventano su un cellulare giocattolo ma Manisha è più lesta provocando le rimostranze di Silly (accidenti, quel giocattolo resterà conteso per tutto il giorno). Rajeev ci invita poi ad appoggiare sulla scrivania della direttrice i regali che abbiamo portato per il personale specificando quelli che ritenevamo dovessero essere i destinatari. Non conoscendo le persone e tantomeno l’organizzazione dell’istituto, ogni coppia aveva preparato cinque pacchetti regalo per il personale femminile (le tate o assistenti) e due pacchetti regalo per il personale maschile. Per fortuna Francesca ha portato anche un sacchetto colmo di rossetti per tutte le signore. Francamente non abbiamo capito se fossero soddisfatti o delusi dei nostri doni. Ci rassicurerà Rajeev più tardi. Usciamo dalla stanza e le bambine ci portano a visitare la sala di ricreazione dove si trovano molti bambini piccoli ed il personale che si prende cura di loro. Togliamo le scarpe prima di entrare. Passiamo un po’ di tempo giocando con i bambini e scattando fotografie poi veniamo trascinati ancora in classe dove distribuiamo ai bambini vocianti palloncini e trombette. Siamo letteralmente presi d’assalto.
Veniamo tutti e sei accompagnati a pranzo in una grossa sala dove campeggia la gigantografia del Mahatma Gandhi. Anche Rajeev, il manager ed il suo più stretto collaboratore pranzano con noi. Il cibo è vario, saporito e speziato. Ci è piaciuto.
Usciamo e passiamo altro tempo facendo fotografie con gli amici delle bimbe ed il personale dell’istituto. Visitiamo la stanza della Grande Sorella che ci lascia il numero di telefono.
Veniamo accompagnati ai piani superiori a visitare le stanze delle ns. figlie che sono contigue. Osserviamo anche i bagni dignitosi e la cucina.
In veranda due neonati nudi giacciono su un tappeto a prendere luce. Facciamo conoscenza con le tate, specialmente Gita che si è occupata di Manisha per oltre due anni. Ci consegnano alcuni oggetti personali delle bimbe. Gita ci da il numero di cellulare e ci invita a farsi chiamare da Manisha e Silly quando vorranno e sarà possibile. Ci chiedono anche di accompagnare Silly e Manisha in visita quando saranno più grandi.
Manca poco alle 14.30, ci accingiamo a partire ma prima le bimbe ci accompagnano in altre stanze a fare visita ad altri amici.   Ci rechiamo nell’ufficio della direttrice che saluta tutti ed abbraccia le bambine: Silly è contenta, Manisha si intristisce e comincia a singhiozzare.
Attraversiamo il cortile e ci dirigiamo verso le auto. Silly corre impaziente e non si volta a salutare, sale in macchina e sembra che non veda l’ora di uscire dal cancello per conoscere il mondo fuori.
Manisha invece cammina rapidamente a testa bassa e singhiozzante, non si volta e sale in auto. Salutiamo noi i presenti. Comprendiamo che Santhi e Gita hanno preferito ritirarsi in camera. Le auto partono. Manisha piangerà finché non si addormenterà sulle ginocchia della mamma.
Ci fermiamo in un centro commerciale per acquistare delle scarpe chiuse per le bimbe. Manisha riprende a piangere. L’umore migliorerà quando in un negozio di giocattoli Manisha e Silly conquisteranno un altro cellulare giocattolo ciascuna (rigorosamente identici) oltre ad altri giochi. Proseguiamo e torniamo in albergo. Silly rovescia sui letti i suoi giochi ed inizia a saltare, Manisha invece è contenuta dalla sua tristezza e gioca timidamente con delle macchinine.
Ci ritroviamo tutti a cena e prendiamo istruzioni da Rajeev per la giornata successiva. Quando arriva l’ora di tornare i camera, Manisha insiste di restare con Silly. Ovviamente non gli viene consentito. Le bimbe dormono con le mamme. Manisha avrà una notte agitata.

7/11. Al risveglio le bimbe giocano sul letto per un po’. Proviamo a partecipare. Ci prepariamo e ci ritroviamo a colazione. Incontriamo Rajeev pronto a ripartire da solo, ci salutiamo. Mentre Rajeev si allontana Silly diventa seria e Manisha ricomincia a piangere. Per loro era l’ultimo collegamento sicuro con gli amici dell’istituto. Raccogliamo i bagagli e partiamo anche noi. Manisha piangerà ancora in macchina verso in aeroporto.
Prendiamo un volo già prenotato per Nuova Delhi. Le bambine sono esaltate per la nuova esperienza. Arriviamo a Delhi dove veniamo accolti dagli autisti dell’hotel. Giunti in albergo ci vengono assegnate due stanze vicine. Ci rendiamo conto di essere in un residence di prima categoria. Esagerato rispetto alla semplicità della struttura e della vita in istituto. Da questo momento abbiamo il sospetto che le bambine credano di essere in Italia.

8-13/11. I giorni successivi saranno simili, scanditi dai pasti, dai giochi al parco e dai bagni in piscina.
La monotonia di questi giorni viene interrotta da un’escursione al centro commerciale e dalla visita del Taj Mahal ad Agra. Spesso le bimbe ci mettono in difficoltà per i loro capricci ed i loro litigi.
In prossimità di alcune vetrine divengono incontenibili mostrando il desiderio per alcuni oggetti mentre rifiutano le nostre proposte alternative. Eppure ci avevano detto che i bambini istituzionalizzati non sanno scegliere!
Silly è molto esuberante, invece Manisha è vanitosa e desidera restare sempre accanto all’amica Silly. Prova a perseguire il suo obiettivo cercando la solidarietà di Francesca attraverso il gioco ed il contatto fisico. Per un po’ ci riesce ma provocherà la gelosia di Silly e metterà a dura prova la pazienza di Antonella.
Manisha chiede sempre di telefonare agli amici dell’istituto. La assecondiamo sempre. Invece Silly è meno interessata. Al risveglio Manisha rivede le foto dell’istituto e ancora gli scende qualche lacrima.

14/11. Finalmente si torna a casa. Al check-in abbiamo qualche problema con i posti, ne parlerò con il Sig. Gargari che comunque ha fatto un lavoro eccellente permettendoci di prenotare i voli con un forte risparmio.
Al controllo dei passaporti, l’ufficiale ci congeda con i suoi auguri e congratulazioni. Le bimbe si esaltano ancora per il viaggio in aereo. Anche questa volta facciamo scalo a Dubai. Prima di atterrare a Milano Manisha non si sente bene.
Al controllo immigrazione ci chiedono copia dell’autorizzazione del CAI. Tutto ok.
Recuperiamo i bagagli e paghiamo 2 Euro per il trolley…ben tornati a casa!
Fuori dalla porta degli arrivi veniamo accolti da amici e parenti festanti.
Prendiamo separatamente la strada di casa e Manisha soffre per il distacco da Silly.




giovedì 18 aprile 2013




IL BILANCIO di Elena Pozzi

Dopo più di due anni dall'ultima edizione de “Il giro di giostra” mi sento in dovere di dare una giustificazione a questo lungo silenzio e di fare un bilancio di ciò che è accaduto in questi ultimi due anni.

Chi è rimasto in contatto con Mehala sa che non è stato un periodo facile ma, nonostante tutto, sono ottimista perché credo nella forza di questa nostra piccola grande associazione, nella preparazione e nella dedizione dei nostri pochi validi collaboratori, nella fiducia delle coppie che stanno adottando e hanno adottato con noi, nel contributo costante dei donatori per la realizzazione dei progetti di cooperazione e dei sostegni a distanza, nell'aiuto prezioso dei volontari.

Nell'ambito adozioni devo dire che l'India, il nostro paese storico, ci ha creato non pochi problemi. L'intento dell'Autorità Centrale Indiana è senz'altro encomiabile: saranno loro a scegliere l'istituto che farà la proposta di abbinamento, come succede in tutti i paesi che hanno ratificato la Convenzione de L'Aja. Questo per evitare che, grazie a contatti pregressi tra enti autorizzati e istituti, si instauri un meccanismo di “do ut des” e di favoritismi. Le modalità sono però macchinose: l'India, si sa, è il paese dell'informatica che, applicata all'eccesso e soprattutto in un settore così delicato, ha prodotto più danni che benefici. Dopo un anno di stasi, finalmente siamo riusciti a ripartire, pur con qualche piccolo problema.

Un discorso a parte merita il Kenia: le pocche coppie coraggiose che hanno deciso di adottare in Kenia e di rimanervi otto-nove mesi dovrebbero ottenere la cittadinanza onoraria!

Novità dal Burkina Faso, dove siamo stati finalmente accreditati e dove partiranno a breve le prime coppie.

Grande successo nel settore cooperazione: il 1° novembre è stato inaugurato il Centro Sanitario di Bilogo nel distretto di Ouagadougou. E' il progetto più importante di Mehala, che ci è stato possibile realizzare grazie alla generosità dei donatori e che ha ottenuto il riconoscimento e il plauso del Ministero della Salute burkinabé. Grazie al Centro Sanitario di Bilogo le mamme saranno assistite durante il parto, i bambini saranno vaccinati e tutti gli abitanti del villaggio di Bilogo avranno diritto a una prima assistenza sanitaria.
Una precisazione: il Centro Sanitario è funzionante, ma Mehala deve ancora estinguere un prestito con la banca. Il vostro aiuto è  prezioso!

Concludo con un appello:l'Hotel Maternel, un istituto di Ouagadougou che ospita circa 50 bambini in stato di abbandono, di cui 14 da 0 a 1 anno, ha un bisogno estremo di latte in polvere. Abbiamo promesso che li avremmo aiutati, anche perché il contributo che ricevono dal Ministero dell'Azione Sociale non è sufficiente a coprire le spese per il personale e per il vitto.

Un affettuoso augurio di un sereno Natale a tutti voi, ai vostri bambini e a quelli che ancora aspettano di abbracciare la mamma e il papà.

lunedì 15 aprile 2013


L’incontro con mia figlia – di Claudio Santambrogio

6 novembre 2012 dopo una notte insonne, passata a pensare all'incontro con le nostre figlie, il giorno atteso da tanto tempo finalmente è arrivato. Carichi come delle molle, facciamo colazione ed assieme a Rajeev saliamo sulle macchine che ci portano, da li a breve, ad incontrare Silly e Manisha. Nelle nostre teste stanno passando mille pensieri (chissà come le accoglieremo, saremo all'altezza, riusciremo a trattenere qualche piccola lacrima di gioia che sicuramente scenderà....) neanche il tempo di pensare a tutto ciò, ci ritroviamo davanti al portone dell' istituto, l'adrenalina sale a mille, si  entra e già udiamo le voci dei bambini che chiamano Silly e Manisha sono arrivati mamma e papà. Il cuore sta viaggiando a mille, ci guardiamo in torno un po’ spaesati e poi... incontriamo le nostre dolcissime Bimbe. Un momento indimenticabile carico di emozioni  che ci accompagnerà per sempre. La giornata scivola via velocemente tra una foto e l'altra, visitiamo le camere delle nostre figlie, la sala dei giochi e la scuola dove incontriamo anche gli altri bambini ed è subito una gran festa. Si esce dall'istituto con un po’ di tristezza ma con il ricordo di aver trascorso una giornata assieme alle Tate e agli altri bambini indimenticabile che porteremo con noi nei nostri cuori. IL soggiorno a Nuova Delhi ci a dato la possibilità di iniziare ad interagire con le nostre figlie e tra alti e bassi ci siamo ritrovati subito a confrontarci con la realtà di essere dei genitori pronti(o quasi) a gestire le varie situazioni. Crediamo comunque che la settimana trascorsa all'Upall hotel si poteva evitare e tornare subito in Italia visto che le nostre figlie chiedevano  solo quello. 

martedì 9 aprile 2013


BARSA

Circa tre anni e mezzo, dai primi approcci al Tribunale dei minori al viaggio.
Siamo sul bordo di una parete di arrampicata alta 50 metri, quando ricevo la telefonata di Manuela che ci annuncia la lieta novella…. Si parte.
E’ il 5 agosto dell’anno scorso. Calo Patrizia e facciamo l’ultimo tiro di corda, si chiama “lenti serpenti”, la roccia è bollente, la saliamo di corsa, alla faccia dei serpentilenti….
16 agosto, rientro dallo Spigolo Vinci al Cengalo, a pochi minuti dalla macchina una bella doccia fredda. Mi si incastra un piede fra due sassi nel sentiero in discesa, 18 chili di zaino, troppo veloce…… frattura scomposta di tibia e perone. Sarà un casino volare in India…..
E l’ultimo timbro sul passaporto di Barsa che non arriva mai? Partiamo il 4 di febbraio di quest’anno, dopo quattro rinvii di biglietto aereo. Un’attesa snervante, ma per fortuna mi ha consentito di fare il viaggio senza sedia a rotelle e senza stampelle.
Buffo suonare al check-in di Kolkata, l’inserviente mi guarda smarrito quando mi passa il metal detector sulla tibia. Nessun problema, l’ho fatto svenire con la radiografia che avevo preventivamente messo sul cellulare.
Rimaniamo solo una settimana, in India, contro le tre previste per bimbi dell’età di Barsa. Ho controlli e fisioterapie da fare a casa ed il Ministero acconsente l’abbreviazione del periodo.
Diversamente dalle indicazioni per cui avremmo visto Barsa il primo giorno in Istituto e saremmo andati a prenderla per andarcene il secondo, anche la conoscenza è stata breve. Poche ore e con un grosso strappo dentro abbiamo chiuso la portiera della macchina, inseguiti dagli sguardi tristi e dai pianti di Barsa, dei suoi amici e delle sue Insegnanti. Un momento di tristezza molto forte.
Bubaneshwar, Kolkata, Zoccorino.
Dai + 20° di minima ai -15° padani del mattino a metà febbraio. Sei in casa un po’ spaesata, con il cappotto, il berretto ed i guanti.
Fortuna che c’è Skype e così riesci a parlare con i tuoi amici e maestre quando vuoi, cosa che continui a fare perché i tuoi legami sono sacri ed è bene che, se vorrai, continueranno ad esserci.
Grazie Skype, ti farei un monumento. Già mi vedevo sul lastrico e senza casa, a dover pagare la bolletta Telecom di 2-3 ore di chiamata al giorno con Cuttack, usanza dei primi mesi…..




E le vacanze? Tre settimane tutte nostre a Perledo, nella casona, con gli amici colombiani, figli adottivi di Paola ed Andrea, le gite e le arrampicate in riva al lago.
Ormai sono passati dieci mesi Barsa, stai facendo passi da gigante, la scuola, il nuoto, gli amici…
A volte ancora difficile comprenderci, tu sai bene l’Oriya, così così l’inglese, noi sappiamo l’italiano, un po’ di padano, un po’ di inglese. Risultato? A volte proviamo a gesti e con disegni, a volte…..  beh riproveremo quando riusciremo a capirci.
Sei gasata per l’arrampicata, ci stai chiedendo quando ti porteremo a sciare…
… e nessuno te l’ha imposto!
Faremo grandi cose Barsa. Basta che tu lo voglia e la disponibilità di Mà e Pà ci sarà.
Ti voglio bene Barsa, dopo un periodo iniziale di diffidenza volpesca (smuovere un volpone di 54 anni neo papà non è facile) tutto sta filando meglio. E questo soprattutto grazie alla tua energia e voglia di apprendere.

Un abbraccio stretto, Barsa.
Papà Enrico (Volpe)