venerdì 31 luglio 2009

India 2009 - parte seconda

Da giorni mi sto proponendo di fare una relazione dettagliata del mio viaggio in India, ma ogni volta che mi siedo davanti al computer non riesco a essere lucida, perdo la cognizione del tempo, mi vengono in mente solo flash, emozioni, sensazioni .
Sono stata diverse volte in India, come turista, come operatore, come mamma adottiva, in occasioni istituzionali a rappresentanza di Mehala, ma questa volta è stato diverso, tutto troppo concentrato, tutto troppo intenso, tutto troppo triste.
“Incredible India” è lo slogan dell'Ente per il Turismo Indiano e rende perfettamente l'idea di una realtà piena di contrasti, in continua evoluzione e al tempo stesso arretrata , una realtà dove tecnologia e rituali sciamanici convivono, dove la gente ti sorride ma non capisci mai quello che pensa, dove ricchi e intoccabili si ignorano a vicenda, dove le donne non contano niente ma se appena hanno un minimo ruolo alzano la cresta, dove gli occhi dei bambini sono così profondi che ti ci perdi dentro.
Riservo ai consiglieri una relazione dettagliata con la denominazione e il luogo degli istituti visitati, riservo ai genitori in attesa il resoconto dei gesti, dei sorrisi, degli sguardi e delle parole dei loro bambini. In questo momento, senza alcuna pretesa di rispettare la scansione temporale del mio viaggio, ne di fornire dettagli tecnici, riesco solo a lasciarmi trasportare dalle emozioni nella speranza di riuscire a trasmetterle, almeno in parte, a chi mi legge.
Il taxi mi porta nel primo istituto, mi scarica davanti e si dilegua. Non ho mai capito dove finiscano questi autisti, so solo che si materializzano con puntualità teutonica all'ora stabilita, non li ho mai visti mangiare né dormire. L'accoglienza è come sempre calorosa, sono invitata a pranzo e sogghignando mi forniscono di posate. Rigorosamente scalza faccio quindi il giro dell'istituto, i bambini sono incuriositi, qualcuno piange, i più grandi sorridono. Sotto lo sguardo benevolo di un'educatrice alcuni bambini si preparano del latte in polvere condito con formiche. I bambini e i ragazzi disabili improvvisano un canto e una danza in mio onore. Sono i bambini senza futuro, quelli che non saranno mai adottati.
L'addio all'istituto è triste, come sempre, e come sempre il giorno successivo c'è il desiderio di tornare. Ma mi aspetta un'altra realtà, e così via per i nove giorni che seguiranno.
Faccio il pieno di aria condizionata, in aereo e in auto, e questo mi aiuta a sopportare il caldo, ma devo dire che i 47 gradi all'ombra sono l'ultimo mio pensiero. Quando le emozioni sono così forti il fisico non ha più importanza, sei in un bagno di sudore, cammini per forza di inerzia, ma hai fretta di non perdere un solo istante, un solo particolare, un solo sguardo.
Ti offrono un bicchiere d'acqua, che immediatamente ti viene tolto per essere sostituito da acqua minerale, ma va bene tutto, ti dimentichi di ogni precauzione, le priorità sono altre.
E' d'obbligo intrattenersi in ufficio con il responsabile dell'istituto. Il nostro referente aveva preannunciato il mio arrivo e devo dire che l'accoglienza è stata molto cordiale. Un po' più sussiegose le signore, soprattutto se ricoprono un ruolo istituzionale, decisamente più cordiali gli uomini. Io però ho fretta, in primo luogo di incontrare i ”nostri“ bambini, quelli che a breve abbracceranno finalmente la loro mamma e il loro papà, e poi voglio vedere come stanno tutti i bambini, come funzionano gli istituti, come potremmo essere d'aiuto.
Gli istituti sono diversi, come ubicazione, come condizioni e come dimensioni. Vedo bambini davanti al televisore, bambini pigiati in un'aula minuscola dove una maestra arcigna declama ad alta voce, in tono imperioso e allo stesso tempo disperato, gettando secchiate d'acqua sul pavimento per sopravvivere al caldo, bambini che giocano col lego (pochi!), altri sdraiati per terra che fissano il soffitto, altri che, vicino a un tempietto induista, meditano a occhi chiusi, spiandomi e ridacchiando.
I “nostri” bambini mi vengono presentati vestiti di tutto punto, alcuni con le scarpe, i più grandi sull'attenti come soldatini, i più piccoli, non ancora in grado di recitare una parte, più spontanei e a volte scocciati della nostra intrusione.
Alcuni bambini, mi hanno detto, sarebbero stati adottati a breve negli Stati Uniti o in altri paesi europei. Poi ci sono gli altri bambini, i bambini con bisogni speciali, che richiedono una famiglia speciale E qui è stato un susseguirsi di rabbia, di commozione e anche di vergogna. Il loro stato di salute mi viene presentato nei minimi dettagli, nella speranza che qualche famiglia sia disposta ad accoglierli. Mi sembra di offendere la loro dignità, non voglio sapere, faccio fatica a guardarli negli occhi, ad accarezzare i capelli rasati a zero per motivi di igiene, a osservarli camminare malfermi o prendere a testate le sbarre del lettino.
I lecca-lecca vanno a ruba, e non diciamo che i bambini sono tutti uguali; proviamo ad andare in una prima media in Italia a offrire lecca-lecca!
Belli i pennarelli, peccato che manca la carta.
Grazie bambini per quello che mi avete dato, mi mancherete! Grazie a tutto il personale degli istituti che, in condizioni per noi inaccettabili, è capace di una carezza e di un sorriso.

martedì 21 luglio 2009

Le nostre candeline

Stavamo per mettere cinque candeline. Su una preziosa torta. Costruita con fatica, passione ed entusiasmo. Una torta fatta con le mani dei molti bambini, delle molte mamme e dei molto papà che da quasi cinque anni ci sostengono e credono in noi. Venerdì 17 giugno, finalmente, la prima bimba ha soffiato sulle candeline dell'Associazione Mehala. Benvenuta Akalya. Un grande bacio.