Di ritorno dall'India
di Elena Pozzi
Da giorni mi sto proponendo di
fare una relazione dettagliata del mio viaggio in India, ma ogni volta che mi
siedo davanti al computer non riesco a essere lucida, perdo la cognizione del
tempo, mi vengono in mente solo flash, emozioni, sensazioni .
Sono stata diverse volte in India, come turista, come
operatore, come mamma adottiva, in occasioni istituzionali a rappresentanza di
Mehala, ma questa volta è stato diverso, tutto troppo concentrato, tutto troppo
intenso, tutto troppo triste.
“Incredible India” è lo slogan
dell'Ente per il Turismo Indiano e rende perfettamente l'idea di una realtà
piena di contrasti, in continua evoluzione e al tempo stesso arretrata , una
realtà dove tecnologia e rituali sciamanici convivono, dove la gente ti sorride
ma non capisci mai quello che pensa, dove ricchi e intoccabili si ignorano a vicenda, dove le donne non contano
niente ma se appena hanno un minimo ruolo alzano la cresta, dove gli occhi dei
bambini sono così profondi che ti ci perdi dentro.
Riservo ai consiglieri una
relazione dettagliata con la denominazione e il luogo degli istituti visitati,
riservo ai genitori in attesa il
resoconto dei gesti, dei sorrisi, degli sguardi e delle parole dei loro bambini.
In questo momento, senza alcuna pretesa di rispettare la scansione temporale
del mio viaggio, ne di fornire dettagli tecnici, riesco solo a lasciarmi
trasportare dalle emozioni nella speranza di riuscire a trasmetterle, almeno in
parte, a chi mi legge.
Il taxi mi porta nel primo
istituto, mi scarica davanti e si
dilegua. Non ho mai capito dove finiscano questi autisti, so solo che si
materializzano con puntualità teutonica all'ora stabilita, non li ho mai visti
mangiare né dormire. L'accoglienza è come sempre calorosa, sono invitata a
pranzo e sogghignando mi forniscono di posate. Rigorosamente scalza faccio quindi il giro dell'istituto, i
bambini sono incuriositi, qualcuno piange, i più grandi sorridono. Sotto lo
sguardo benevolo di un'educatrice alcuni bambini si preparano del latte in
polvere condito con formiche. I bambini e i ragazzi disabili improvvisano un
canto e una danza in mio onore. Sono i bambini senza futuro, quelli che non
saranno mai adottati.
L'addio all'istituto è triste,
come sempre, e come sempre il giorno successivo c'è il desiderio di tornare. Ma
mi aspetta un'altra realtà, e così via per i nove giorni che seguiranno.
Faccio il pieno di aria
condizionata, in aereo e in auto, e questo mi aiuta a sopportare il caldo, ma
devo dire che i 47 gradi all'ombra sono l'ultimo mio pensiero. Quando le
emozioni sono così forti il fisico non ha più importanza, sei in un bagno di
sudore, cammini per forza di inerzia, ma hai fretta di non perdere un solo
istante, un solo particolare, un solo sguardo.
Ti offrono un bicchiere d'acqua,
che immediatamente ti viene tolto per essere sostituito da acqua minerale, ma
va bene tutto, ti dimentichi di ogni precauzione, le priorità sono altre.
E' d'obbligo intrattenersi in
ufficio con il responsabile dell'istituto. Il nostro referente aveva
preannunciato il mio arrivo e devo dire che l'accoglienza è stata molto
cordiale. Un po' più sussiegose le signore, soprattutto se ricoprono un ruolo
istituzionale, decisamente più cordiali gli uomini. Io però ho fretta, in primo
luogo di incontrare i ”nostri“ bambini, quelli che a breve abbracceranno
finalmente la loro mamma e il loro papà, e poi voglio vedere come stanno tutti
i bambini, come funzionano gli istituti, come potremmo essere d'aiuto.
Gli istituti sono diversi, come
ubicazione, come condizioni e come dimensioni. Vedo bambini davanti al
televisore, bambini pigiati in un'aula minuscola dove una maestra arcigna
declama ad alta voce, in tono imperioso e allo stesso tempo disperato, gettando
secchiate d'acqua sul pavimento per sopravvivere al caldo, bambini che giocano
col lego (pochi!), altri sdraiati per
terra che fissano il soffitto, altri che, vicino a un tempietto induista,
meditano a occhi chiusi, spiandomi e ridacchiando.
I “nostri” bambini mi vengono
presentati vestiti di tutto punto, alcuni con le scarpe, i più grandi
sull'attenti come soldatini, i più piccoli, non ancora in grado di recitare una
parte, più spontanei e a volte scocciati della nostra intrusione.
Alcuni bambini, mi hanno detto,
sarebbero stati adottati a breve negli Stati Uniti o in altri paesi europei.
Poi ci sono gli altri bambini, i bambini con bisogni speciali, che richiedono
una famiglia speciale E qui è stato un susseguirsi di rabbia, di commozione e
anche di vergogna. Il loro stato di salute mi viene presentato nei minimi
dettagli, nella speranza che qualche famiglia sia disposta ad accoglierli. Mi
sembra di offendere la loro dignità, non voglio sapere, faccio fatica a
guardarli negli occhi, ad accarezzare i capelli rasati a zero per motivi di
igiene, a osservarli camminare malfermi o prendere a testate le sbarre del
lettino.
I
lecca-lecca vanno a ruba, e non diciamo che i bambini sono tutti uguali;
proviamo ad andare in una prima media in Italia a offrire lecca-lecca!
Belli i pennarelli, peccato che
manca la carta.
Grazie bambini per quello che mi
avete dato, mi mancherete! Grazie a tutto il personale degli istituti che, in
condizioni per noi inaccettabili, è capace di una carezza e di un sorriso.
10 luglio 2009
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